
“Il campionato non è stata la cosa più difficile. È stato sopravvivergli.”
In una storia che sembra Shakespeare infilato negli scarpini da calcio, Luciano Spalletti – l’uomo che ha portato il Napoli al vertice del calcio italiano dopo 33 anni di siccità – ha strappato il bavaglio della diplomazia e ha sferrato un attacco straordinario all’uomo che, a suo dire, ha trasformato il paradiso in una prigione: Aurelio De Laurentiis.
In un’intervista esclusiva e autentica a La Repubblica, Spalletti non ha usato mezzi termini, confermando finalmente ciò che addetti ai lavori e ultras avevano sussurrato per mesi: non ha lasciato Napoli per la pace, è fuggito da un regime.
“Ero stanco. Non per l’allenamento, non per la pressione. Ero stanco di combattere costantemente guerre invisibili”, ha rivelato Spalletti. “Ogni mattina mi svegliavo non chiedendomi come battere la Juventus o il Milan, ma come sopravvivere un altro giorno sotto De Laurentiis.”
Da Re di Napoli all’esilio
Per il mondo del calcio, Spalletti era il visionario pacato dietro lo Scudetto del Napoli: orchestrava la perfetta sinfonia del caos con la magia di Kvaratskhelia, la fame di Osimhen e un centrocampo costruito sulla poesia tattica. Ma dietro i sorrisi champagne, infuriava una battaglia per il controllo.
“Non mi hanno mai dato fiducia, non completamente. Anche dopo aver vinto lo Scudetto, mi sentivo come se fossi in casa di qualcun altro, con una corona che lui si risentiva di consegnare.”
La stagione 2022-23 del Napoli è stata leggendaria: calcio elettrico, 16 punti di vantaggio in classifica e un’euforica celebrazione del titolo che ha paralizzato un’intera città. Ma mentre i tifosi festeggiavano per strada, Spalletti stava già pianificando la sua fuga.
E il motivo? Un presidente che voleva tutti i meriti ma nessuna responsabilità.
Il “Sultano” dietro le quinte
Spalletti ha descritto De Laurentiis come un uomo con “la mente di un regista e il temperamento di un imperatore”, ossessionato non dalla costruzione di una squadra, ma dal comando di un impero.
“Vuole che tutti recitino un ruolo: lui il sovrano benevolo, i giocatori i suoi leali guerrieri e l’allenatore… solo un altro servitore”.
Diverse fonti vicine al club hanno confermato che De Laurentiis ha spesso minato l’autorità di Spalletti: inviando messaggi direttamente ai membri dello staff, partecipando a riunioni tattiche, persino dando “appunti” dopo le partite come un dirigente di uno studio che rivede una sceneggiatura.
“Ho dovuto spiegare al presidente perché sostituivo un attaccante. Non solo una volta, quasi ogni settimana. Era soffocante”.
Spalletti ha anche rivelato che i suoi piani di trasferimento venivano sistematicamente bloccati o modificati, spesso per motivi di immagine.
“Abbiamo cercato giovani talenti, veri talenti. Ma se non avevano l’aspetto giusto o il giusto ‘appeal mediatico’, l’accordo veniva annullato. Non stavamo costruendo una squadra, stavamo facendo il casting per un film.”
“La goccia che ha fatto traboccare il vaso è arrivata dopo il titolo”
Il punto di rottura, dice Spalletti, non è stata una sconfitta o un disaccordo, ma ciò che è seguito al più grande trionfo della sua carriera.
“Abbiamo vinto lo Scudetto e mi aspettavo – forse stupidamente – un po’ di rispetto. Invece, ho ricevuto redini più strette. Più sorveglianza. Più manipolazione. Ho capito allora: nemmeno la gloria mi ha comprato la libertà.”
Ha descritto un teso incontro post-stagione in cui De Laurentiis lo ha informato “freddamente” di futuri cambiamenti strutturali, presumibilmente incluso un rimpasto dello staff tecnico senza il suo contributo.
“Mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: ‘Ti ho portato qui. Posso portare qualcun altro’. Era finita. Sapevo che era finita.”
Il club l’ha pubblicamente definita una “separazione reciproca”. Spalletti ora ammette: era tutt’altro che reciproco.
“Sarei rimasto per sempre per i giocatori. Per la città. Per la maglia azzurra. Ma non potevo essere il buffone di corte di De Laurentiis.”
Amore per Napoli, disprezzo per il Palazzo
Nonostante il dramma, la voce di Spalletti si addolcisce quando parla di Napoli.
“Non è una città, è un battito cardiaco. Una religione. Non ho mai sentito un amore così dai tifosi. E ci ho lasciato un pezzo di me.”
Ammette persino di guardare le partite del Napoli di nascosto, “come un esule che sbircia attraverso i cancelli del castello.”
Ma di De Laurentiis? Spalletti ha solo questo:
“C’è genialità in quell’uomo, senza dubbio. Ma anche tirannia. Non dirige una squadra. Governa un regno. E nessun regno ha posto per due re.”
Una nuova missione, un nuovo trono
Ora alla guida della Nazionale italiana, Spalletti afferma di aver ritrovato l’ossigeno: la libertà di pensare, respirare, guidare.
“Qui non sono a palazzo. Sono in una repubblica. Posso prendere decisioni senza chiedere il permesso a un produttore cinematografico.”
Cosa succederà al Napoli?
Con il Napoli ora in difficoltà nella gestione del club e che fatica a replicare la magia dell’anno scorso, la verità dietro l’addio di Spalletti potrebbe essere più di un semplice pettegolezzo: potrebbe spiegare il conseguente svuotamento spirituale.
I tifosi si chiedono: il prezzo della gloria era troppo alto?
Lo Scudetto è stato vinto nonostante il presidente, non grazie a lui?
E quante altre menti brillanti brucerà il Napoli prima che il “Sultano” si renda conto: il trono sarà anche suo, ma il regno è sempre stato di Spalletti?